Parte la borsa dei fumi
Il sistema è reso possibile dalla direttiva europea 2003/87 sull'emission trading, che fissa quote vincolate di produzione di gas a effetto serra (soprattutto anidride carbonica) per ogni Stato comunitario. Le quote sono ripartite tra circa 12mila impianti industriali europei (parliamo di centrali elettriche, raffinerie, cementifici, vetrerie, cartiere e acciaierie) e, a livello di Stato, sono calcolate come sommatoria delle quote spettanti ai singoli impianti.
I Paesi che inquinano meno possono vendere le quote in eccesso a chi inquina di più. I Paesi che inquinano di più, viceversa, possono acquistare quote dagli Stati "ecologicamente virtuosi", oppure devono impegnarsi nello sviluppo di sistemi industriali meno inquinanti e nella elaborazione di programmi per la riduzione dell'inquinamento. Chi non rispetta le quote, rischia multe di 40 euro per ogni tonnellata in eccesso, che diventeranno 100 nel 2008. Dall'entrata in vigore della direttiva, nessuno degli impianti industriali europei può emettere Co2 senza una specifica autorizzazione da parte del governo del paese ospitante.
Si tratta di un modo intelligente e razionale per rispettare gli oramai inderogabili vincoli ecologici fissati dal trattato di Kyoto senza danneggiare in modo eccessivo il sistema produttivo europeo, gravandolo con vincoli troppo onerosi. Senza contare che la nuova "Borsa dei fumi" (così è stato ribattezzato il sistema di scambio delle quote inquinanti) potrebbe generare un "business ecologico" pari a 15 miliardi di euro l'anno. L'obiettivo finale della normativa giungere al dell'8,2% gli inquinanti prodotti dall'UE entro il 2008-2012.
Per l'Italia l'obiettivo è del 6,5% , anche se il nostro Paese è in forte ritardo per l'ingresso nel sistema dell'emission trading. Al momento, infatti, manca ancora la mappa delle emissioni degli impianti e l'UE ha respinto per incompletezza il Piano nazionale sull'assegnazione delle quote di inquinanti. Il Governo è comunque pronto ad entrare nel sistema entro la prossima primavera.
Tra i "ritardatari" ci sono anche la Polonia e la Repubblica Ceca, mentre la Grecia risulta del tutto inadempiente.