REFERENDUM del 17 APRILE

Le nostre ragioni del "SI" per impedire alle società petrolifere di danneggiare l'ambiente

Con il referendum abrogativo del 17 aprile 2016 si chiede che vengano fermate le estrazioni di gas e petrolio dai giacimenti in attività al termine della validità del titolo concessorio, anche se questi sono ancora “coltivabili”, essendovi cioè prodotti da estrarre.

I giacimenti sono quelli che si trovano nelle acque territoriali entro le 12 miglia .

L’articolo da abrogare è il 6 comma 17, terzo periodo, del DLgs n.152 del 3 aprile 2006, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”.

A fronte di un testo referendario che può apparire “riduttivo” occorre considerare, secondo il nostro giudizio, che l’obiettivo “sotteso” è quello di un cambio di politica energetica per un futuro sempre più sostenibile e per un ambiente sempre più pulito.

Come avviene per ogni referendum, sono sorti comitati per il Si e per il No. Non si può negare che il referendum abbia una forte connotazione politica dalla quale noi prescindiamo, rivolgendo piuttosto l’attenzione alla tutela del territorio, alla sicurezza ed alle politiche di efficienza energetica che garantiscano sostenibilità ambientale. 

Tra le forze sostenitrici del SI vi sono quelle ambientaliste ed Ambiente e/ è Vita è  tra queste. Con l’adesione al SI vogliamo evitare che le società petrolifere tenutarie delle concessioni possano arrecare danni all’ambiente.

Il nostro SI, in particolare, nasce dalla stessa storia di Ambiente e/è Vita che si è caratterizzata, sullo specifico argomento delle prospezioni e trivellazioni in mare, con azioni di contrasto sia in anni assai recenti (Puglia) sia un po’ più indietro nel tempo (negli anni ’80 in Abruzzo).

Di fronte a situazioni di grave rischio ambientale (fenomeni di subsidenza, contaminazioni delle acque e dei fondali, effetti sismici tipici dei processi estrattivi) abbiamo sempre sostenuto che non bisogna mai trascurare il principio comunitario di precauzione in ecosistemi fragili e vulnerabili quali sono i nostri ambienti marini costituiti dai bassi fondali nell’Adriatico, e più in generale dal bacino mediterraneo condiviso da altri Paesi che su esso si affacciano che ha uno scarso ricambio idrico e comunque lungo nel tempo, quasi un mare chiuso. Mari, peraltro, quelli su cui si affaccia l’Italia, più volte aggrediti dagli inquinamenti più disparati sia da prodotti chimici sia petroliferi  (il caso della petroliera Haven ne è un esempio illustre) che pongono in seria difficoltà la stessa capacità autodepurativa delle acque e la sopravvivenza della vita acquatica con impatti negativi sul turismo e sulla pesca sostenibile. Attività, queste, che possono dare un nuovo impulso all’impiego di forze lavoro.

Ma le motivazioni di tutela sopra espresse debbono necessariamente essere accompagnate da altri ragionamenti. Uno fra tutti, quello delle emissioni di gas serra che riguardano non solo l’areale mediterraneo, ma l’intero pianeta per gli effetti che producono (e sappiamo bene che le emissioni sono strettamente connesse ai Piani energetici che ogni Paese si dà).

Il nostro Paese, nel lontano 1975, aveva abbozzato un Piano in pieno periodo di crisi petrolifera che non aveva sortito effetti apprezzabili vuoi per le stime in parte artefatte, vuoi per un problema, allora sul tappeto, di scelta di energia nucleare poi abbandonata. Varie revisioni hanno portato ad un nuovo documento nel 1988 che non prevedeva il ricorso alle energie alternative.  Solo più di recente, con il D.M. 8 marzo 2013, di fatto, per far fronte agli impegni presi con la UE, si è svecchiato il PEN del 1988 andando a definire la SEN (Strategia Energetica Nazionale) nella quale trova maggior spazio il ricorso alle energie rinnovabili, con una previsione di decrescente utilizzo di combustibili di origine fossile come quelli raccolti con le trivellazioni.

Pur se il D.M. non costituisce un atto di legge (essendo esso di natura regolamentare), è sempre una fonte normativa nazionale ed ha il suo peso. L’allegato al decreto (PAE, piano azione efficienza energetica, datato luglio 2014) è parte integrante del decreto stesso ed è stato inviato alla Commissione Europea in ottemperanza agli obblighi comunitari.

Il PAE  evidenzia in maniera chiara la strategia nazionale per il raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica fissati dall’Italia per il 2020, a partire dai risultati raggiunti al 2012: riduzione dei consumi di energia primaria e finale   attesi per singolo settore economico (promozione dell’efficienza energetica nei trasporti, nella mobilità, nel terziario, nell’industria, nel  residenziale).

Quanto detto in termini di tutela dell’ambiente e di efficienza energetica, rivolta sempre più alle energie rinnovabili, costituisce la motivazione di fondo su cui AV fonda il proprio SI al referendum del 17 aprile.