Scambio dei diritti di emissione

La conferenza mondiale sui cambiamenti climatici si è svolta all'Aja, alla fine di novembre e si è conclusa con un nulla di fatto, su tutti i fronti. In particolar modo, ha contribuito a tale fallimento, in maniera determinante, la scelta sui metodi da adottare per l'applicazione dello strumento dello scambio dei diritti di emissione. Tale strumento, adottato oramai in tutto il mondo ed anche da noi, prevede di assegnare ad ogni paese, o azienda, un targhet di emissioni inquinanti da rispettare. Qualora il paese, o l'azienda, non riescano ad onorare tale limite è consentito che acquistino, una quantità pari all'eccedenza, da un altro paese, o azienda che, invece ne ha prodotte in quantità minore, rispetto ai valori assegnatigli. Le origini di tale pensiero risalgono al 1997, quando a Kyoto si redisse un protocollo per la riduzione dei cosiddetti gas serra. In tale occasione ogni paese s'impegnava a diminuire le proprie emissioni al fine di cancellare la percepibile influenza delle attività umane sui cambiamenti climatici in atto ed in particolare sull'effetto serra. Oggi ci si è accorti che il bilancio complessivo delle politiche adottate, per la riduzione degli inquinanti responsabili dell'effetto serra, è particolarmente negativo e, viceversa, registra un preoccupante andamento in crescita. In media nell'UE sono stati registrati aumenti del + 0,15%, rispetto ai valori registrati nel '90, presi come riferimento per il protocollo di  Kyoto. Preso atto che nessun paese è riuscito ad onorare l'impegno assunto, si sta cercando di scaricare, sui paesi più poveri, le responsabilità e l'incapacità dei paesi occidentali. In un quadro mondiale di scambi di emissioni, nella migliore delle ipotesi, si vedrà, ad esempio, l'Italia (che ha registrato un incremento del 3,2%, rispetto agli impegni ratificati a Kyoto) comprare diritti dalla Germania (che, invece, le ha ridotte del 7,5%, sempre rispetto agli impegni assunti in Giappone).Più verosimilmente vedremo i paesi occidentali comprare dai paesi in via di sviluppo il diritto di continuare ad inquinare il pianeta. Gli Stati Uniti, avendo registrato un considerevole incremento delle proprie emissioni di CO2, sempre nel periodo '90-'00, portando all'estreme conseguenze il ragionamento, intendeva comprare diritti di emissione dall'Alaska; come dire che: da una parte uscivano dei dollari che, puntualmente, rientravano dall'altra.

Più realisticamente possiamo immaginare un impianto petrolchimico che, superati i targhet a lui assegnati, compri la quota over limit da un paese africano. Questi, dovendo investire quel denaro, per consentire lo sviluppo economico della sua popolazione, penserà di realizzare sul proprio territorio, magari vicino ad un pozzo petrolifero, una raffineria. Per far ciò si rivolgerà, naturalmente, alla stessa società alla quale aveva venduto i diritti di emissione non impegnati, la quale potrà recuperare il denaro speso, per continuare ad inquinare come prima, ritrovandosi fra le mani un impianto tutto nuovo e particolarmente efficiente, con un costo del lavoro particolarmente contenuto. Solo che così facendo, in una visione ambientale di tipo globale, dovremmo registrare un raddoppio delle raffinerie. Inoltre, le popolazioni che vivono vicine agli impianti obsoleti continueranno ad ammalarsi ai polmoni ed a morire di cancro, mentre quelle residenti nel paese africano non si ammaleranno più di AIDS ma di bronchiti croniche e non moriranno più di fame ma di tumori all'apparato respiratorio. Il risultato del bilancio ambientale globale sarà: un generale aumento dei gas responsabili dell'effetto serra.

Non ci sembra questa la strada migliore per lo sviluppo sostenibile! Ancor più se si vuol studiare il problema con un'ottica globale che intende analizzare la salute del nostro pianeta nel suo complesso. Ci appare più utile investire in altre direzioni. La ricerca, particolarmente dimenticata nel nostro paese, ci sembra più utile a tal fine. Può servire a migliorare l'efficienza tecnologica e per sfruttare al meglio le fonti di energia rinnovabile. Una corretta informazione, auto elettriche ed ad idrogeno, teleriscaldamento, termovalorizzazione dei rifiuti urbani, sviluppo delle infrastrutture di trasporto su ferro (ferrovie e metropolitane), biocombustibili, sono soluzioni alternative all'aumento dell'inquinamento dell'aria. Ci vuole una forte volontà politica per spostare il denaro pubblico da certi meccanismi perversi verso soluzioni realmente utili per il pianeta. Certamente, non ci porterà da nessuna parte arrivare a consumare 300 mila tonnellate l'anno di biodiesel, come auspica un articolo della finanziaria 2001, prodotta dal nostro Governo,  contro un consumo complessivo di 30 milioni di tonnellate di gasolio. Il nuovo carburante (ottenuto dall'olio di colza e dai girasole), che è completamente biodegradabile, non contiene zolfo e non produce il CO2, meriterebbe ben altra attenzione, anche in considerazione del fatto che è particolarmente compatibile con il mercato produttivo del nostro paese. Invece, a riprova del dilettantismo di chi tenta di colorare di verde il governo, ne è previsto un aumento irrisorio e del tutto insufficiente a garantire anche una convenienza economica per chi lo produce e vorrebbe investire ancora in tale direzione.