5-02-2017 17:52
Tor di Valle
Tor di Valle
Un progetto di pubblica utilità
Sul nuovo stadio di Tor di Valle, dell'AS Roma, si è molto scritto e molto ancora si scriverà, come è giusto che sia per un'opera così importante per la Città Eterna che, è bene tenerlo a mente, è la Capitale di questo nostro Bel Paese.
Molti, benpensanti, già sessantottini, strumentalizzando l'argomento, spesso ne parlano con visione entusiastica, un poco troppo elevata (quasi una foto satellitare di Google Earth), perdendo di vista alcuni importanti "dettagli".
Uno di questi particolari, non proprio da nulla, è rappresentato dalla città nella quale si vorrebbe realizzata l'opera: Roma, con la sua storia recente, fatta di mala politica, di denaro pubblico sperperato, di mafie cresciute nel non rispetto della programmazione urbanistica, là ove presente. Tale consapevolezza, quanto meno, dovrebbe indurci ad una attenzione particolare in fase decisionale, che sia politica ma, anche, e soprattutto, per gli aspetti più squisitamente tecnici.
La quaestio, a nostro avviso, non è se questo stadio serva a Roma, alla "produzione" del calcio, ad offrire un altro centro commerciale, altri uffici direzionali, che è, legittimamente, l'ottica dei vertici della Società Sportiva e del Costruttore, ma cosa la sua realizzazione può offrire a questa città dimenticata.
Oggi, dopo decenni di una politica ed un'amministrazione che, spesso complici della malavita, hanno trascurato questa città, la vera urgenza non appare essere la costruzione di nuove belle opere (la Nuvola, il MAXXI, l'Auditorium, l'Ara Pacis, il Ponte della Musica, etc.), alcune delle quali rimaste cattedrali nel deserto (la Vela di Calatrava, a Tor Vergata), i grattacieli, le piazze alla Gae Aulenti, ma, più pragmaticamente, l'urgente gestione del quotidiano; riportando nel binario dell'ordinaria amministrazione i problemi di tutti i giorni, rispetto ai quali, coloro che hanno preceduto l'attuale sindaco, hanno preferito girare lo sguardo altrove.
Tutte quelle disfunzioni alle quali, propriamente ed egregiamente, aveva iniziato a porre rimedio il commissario Tronca. Piccole cose che, portate ad uno stato di tale diffusione e capillarità, per la cui risoluzione necessitano ingenti risorse economiche, di tempo e professionali.
Questa bistrattata città ha bisogno di riasfaltare le sue malconce strade, di recuperare il decoro delle vie, dei giardini, smaltire i rifiuti che produce, realizzare e gestire una efficiente ed efficace rete dei trasporti pubblici, sicurezza, bilancio, salvaguardia e valorizzazione del ricco patrimonio artistico e culturale, ma, anche, di riqualificare interi quartieri (con un numero di residenti più elevato della gran parte delle province italiane), renderli vivibili e degni di una capitale europea.
È proprio sul concetto "riqualificare" che i radical chic di maniera dimostrano poca dimestichezza con l'argomento. Riqualificare significa ridare qualità, recuperare la qualità di un territorio, di un quartiere, di una porzione di città; è diametralmente opposto a chi, per l'ennesima volta in questa città, vuole calare dall'alto un nuovo quartiere, nuove cubature ed attività, belle opere, caricando ulteriormente il territorio e le infrastrutture lì presenti, già sovraccariche ed insufficienti a rispondere adeguatamente alla domanda attuale e pressante.
Riqualificare significa migliorare la vivibilità di quel territorio con strade adeguate ad assorbire l'intenso traffico delle ore di punta, con una rete di trasporti pubblici sostenibile lì dove già oggi è inesistente, obsoleta ed inadeguata a dare le risposte attese e legittime; vuol dire portare adeguati servizi primari in quelle zone ove non esistono o sono atavici ovvero non più adeguati a soddisfare le mutate esigenze; significa, anche preservare e valorizzare gli habitat naturali presenti, sempre più rari.
In questo solco, appare evidente ai più che la riqualificazione urbanistica deve necessariamente partire proprio dal rispetto delle regole scritte in un Piano Regolatore Generale, adottato ed approvato. Ci sembra palese che, senza il rispetto di dette regole si prosegue con la cementificazione selvaggia che ha dominato (e continua a dominare) la Città Eterna e, dagli anni '50, ha costruito quel caos che questa bella metropoli vive ogni giorno sulla propria pelle. Sulla pelle di chi ci vive, di chi la vive quotidianamente.
I "verdi" di antica memoria, quelli contro il nucleare, quelli contro i piani regolatori disegnati dai costruttori, per capirci, forse lo hanno dimenticato ... o, si sono così elevati che non riescono più a vederlo.
Giancarlo Sforza